Michela Murgia: «Collaborare è un valore aggiunto»
Dagli antichi miti al cinema, dai romanzi ai videogiochi, per tutta la nostra vita siamo stati circondati dalle storie di eroi ed eroine che, affrontando tutti soli fatiche a malapena sostenibili, hanno raggiunto il loro lieto fine. E se provassimo a ribaltare la situazione? E se invece dei trionfi di singoli eroi cominciassimo a parlare di quelli di persone che lavorano insieme?

Noi siamo tempesta. Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo
Michela Murgia The World...
Ercole e Ulisse. Harry Potter e Luke Skywalker. Pollicino e Mosè.
Michela Murgia non ci sta. La vulcanica scrittrice sarda dice “basta!” alle mono-narrazioni sull’eroe e con “Noi siamo tempesta”, il suo ultimo libro, apre le porte di un mondo alternativo, un mondo in cui il successo non è più prerogativa di una singola mente geniale che si eleva su tutte le altre, ma un risultato conseguito attraverso una fertile collaborazione, attraverso il lavoro di gruppo.
Dalla battaglia delle Termopili alla caduta del Muro di Berlino, dalla Macchina di Turing al Referendum catalano. Dal passato al presente, tra storie note e meno note – ma altrettanto significative – per capire che la collaborazione è una risorsa. Oggi più che mai.
Un libro coloratissimo e divertente, per bambini, ragazzi e adulti. Un libro democratico e collettivo. Un libro per farsi ispirare. Ma anche un’occasione per incontrare Michela – venuta qui in IBS a firmarne le copie – e poter chiacchierare con lei di cultura e politica, di arte e precarietà, di letteratura e pecorsi di arrampicata… E di un motto che risuona ancora nelle nostre orecchie. “Uno per tutti…”. Vi dice niente?
Raccontaci del tuo ultimo libro, Michela. Che storia racconta “Noi siamo tempesta”?
Il libro nasce da una domanda: cosa succederebbe ai bambini se, anziché raccontare soltanto storie di eroi, noi raccontassimo loro anche storie che dimostrano che è possibile essere potenti insieme? Sarebbe una rivoluzione!
Ecco perché “Noi siamo tempesta” è un libro-sfida, che spezza la mono-narrazione sugli eroi e mostra che la storia dell'umanità è fatta in prevalenza di grandi cose realizzate da gruppi creativi.
Il tuo libro è una spinta a collaborare, un invito a fidarsi del prossimo. È un modo di stare al mondo che – di questi tempi – sembra non godere di grande salute. Sei d'accordo?
Il libro è senz'altro un'iniezione di fiducia nel fatto che anche persone normali, collaborative e coordinate, mettendosi d'accordo, possono realizzare cose straordinarie. Collaborare è un valore aggiunto.
Ciò non vuol dire che bisogna gettare via le storie dell'eroe: io sono per la bibliodiversità.
Il “noi” è un elemento fondamentale nel titolo: parola chiave, designa la forma stessa del libro, che è frutto di una collaborazione molto fertile dal punto di vista creativo…
“Noi siamo tempesta” è allo stesso tempo un libro e un metalibro. È un libro perché racconta 16 storie senza eroe, ma è anche un laboratorio di creatività e sperimentazione di varie formule: dalla narrazione al dialogo, dalle illustrazioni alla storia a fumetti.
L'idea stessa è nata in forma collaborativa, da una conversazione tra amiche con Francesca Manzoni, l'editor che ha curato il libro insieme a me.
Poi è arrivata la componente dell’illustrazione – fondamentale per “Noi siamo tempesta” – grazie ai creativi e ai grafici di The World of DOT, che sono stati capaci di dare al libro una forma che io stessa non avrei mai saputo immaginare.
In seguito, è arrivata anche la collaborazione straordinaria della matita di Paolo Bacilieri, che ha illustrato l’unica storia a fumetti della raccolta.
Noi siamo tempesta è un libro-sfida, che spezza la mono-narrazione sugli eroi e mostra che la storia dell'umanità è fatta di grandi cose realizzate da gruppi creativi.
In “Istruzioni per diventare fascisti” sostieni che la democrazia, a differenza di quanto sostenuto da Churchill, non è semplicemente la peggior forma di governo fra tutte le altre: è proprio la peggiore e basta. Come facciamo a conciliare questa asserzione con lo spirito collaborativo che dà forma al tuo nuovo libro?
"Noi siamo tempesta" nasce da un principio profondamente democratico. Attenzione, però: le società democratiche ideali non sono quelle portate avanti solo da pochi eletti meritevoli, ma quelle dove chiunque può intervenire sulla realtà, facendo la fatica di organizzarsi per stare insieme. Perché stare insieme è faticoso. La democrazia è faticosa.
Come creare lo spirito democratico? Prima di arrivare alla politica, si crea attraverso le storie, i giochi collaborativi. Bisogna far capire ai ragazzi che non è vero che “chi fa da sé fa per tre”, ma che è ancora valido il motto dei moschettieri: “Uno per tutti, tutti per uno”.
Tra le storie che ci sono piaciute di più in “Noi siamo tempesta” c’è quella di Maria Lai e del paese sardo di Ulassai. Ti va di raccontarcela?
L’esperienza di Ulassai è stata una delle cose più belle, più significative, ma forse meno comprese dell'arte degli anni ottanta. Ci tenevo a inserirla nel libro perché non tutte le storie vere che racconto sono famosissime come la battaglia delle Termopili o la nascita di Wikipedia, ma ce ne sono alcune poco note che meritavano di essere raccontate.
Nel 1981 Maria Lai diede il via alla performance di comunità con un'idea che all’epoca sembrò surreale, ma fu detonante. L’artista decise di legare fisicamente Ulassai – un paesino dell'Ogliastra rurale – alla montagna. Per far questo chiese a tutti gli abitanti – semplici contadini, pastori, pescatori – di legare le case del paese le une alle altre e poi alla montagna. Tra dubbi e inimicizie, non fu facile convincerli e per nove mesi si negoziò, fino ad arrivare a una soluzione “salomonica”: le case tra cui c’era amicizia sarebbero state legate da un nastro con il pane rituale delle nozze a sancire il reciproco affetto, in caso contrario il nastro sarebbe stato semplicemente teso. Un’esperienza bellissima che ha permesso all’arte di svolgere il suo reale compito: svelare le nostre contraddizioni.
Per approfondire |

Istruzioni per diventare fascisti
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Da un altro mondo
Evelina Santangelo

L'emozione e la regola. L'organizzazione dei gruppi...
Domenico De Masi

Il nido
Kenneth Oppel
Che cosa significa, per te, essere un intellettuale oggi in Italia?
Oggi in Italia sembra che chiunque dedichi il proprio tempo all'arte di pensare, di capire la complessità del mondo – l’arte più nobile tra tutte – debba considerarlo una vergogna e scusarsi.
Personalmente, invece, rivendico la parola “intellettuale” e la rivendico come atto di investigazione del reale. Essere intellettuali non è una questione di lauree: la riflessione sulla complessità spetta a tutte le persone che hanno a cuore il miglioramento dello stare insieme. Perché stare insieme è dificile, se si rinuncia alla complessità.
E chiunque ci venda l'ignoranza come una virtù e l'intellettuale come un nemico sta cercando in realtà di costruire persone sole e democrazie più fragili.
Sulla tua pagina su Wikipedia c'è scritto che Manolo, un famoso free climber, ha intitolato ad "Accabadora" un settore di arrampicata da lui aperto in Sardegna. Che impressione ti ha fatto? Per caso hai tentato anche tu l’arrampicata?
Quando la notizia mi è stata riferita, da un lato mi ha fatto ridere perché chiamare una via di arrampicata libera come un'accoppatrice non è proprio di buon auspicio… dall’altro mi ha divertito il fatto che qualcuno potesse aver declinato l'intenzione ferale di “Accabadora” in termini verticali su una parete di roccia.
Non sono mai andata ad arrampicarmi, però: la mia refrattarietà agli sport è nota. Cerco sempre di tenermi lontano da tutta la fatica fisica non retribuita.
Essere intellettuali non è una questione di lauree: la riflessione sulla complessità spetta a tutte le persone che hanno a cuore il miglioramento dello stare insieme.
Visto che parli di fatiche non retribuite non si può non far cenno al tuo libro di esordio, “Il mondo deve sapere”, divenuto anche un film grazie a Paolo Virzì, in cui si parlava di lavoro precario. Come vedi la situazione oggi?
Quando ho esordito era il 2006 e “Il mondo deve sapere” venne letto come un libro di denuncia sul precariato. Dopo “Tutta la vita davanti”, il film di Virzì, improvvisamente la precarietà del lavoro divenne un tema di dominio pubblico: ne parlavano tutti. Quanto fosse finto quell’interesse lo ha dimostrato il tempo. Oggi si dà per scontato che il lavoro di tutti sia precario. Siamo tuti immersi in una situazione di precarietà esistenziale e di costante paura che le nostre condizioni possano cambiare da un momento all’altro.
Rileggere oggi quel libro mi fa male perché mi accorgo che quella denuncia ha fotografato un momento che è andato peggiorando.
Non è strano che oggi le persone siano più arrabbiate. Non è strano che la gente versi il latte per strada. Il mondo che oggi stiamo consegnando in mano ai nostri figli è molto peggiore di quello che i nostri genitori hanno consegnato a noi.
Per concludere, ci lasci qualche consiglio di lettura?
Il romanzo più bello che ho letto quest'anno è “Da un altro mondo” di Evelina Santangelo. Una storia di fantasmi e di migranti, che noi anche da vivi trattiamo come fossero presenze che non riguardano la nostra vita e la nostra realtà tangibile. È un romanzo preveggente, scritto in modo magnifico, che racconta una storia che è vicina a noi ma con la capacità di trasformarla in una realtà permanente nel tempo.
È uno di quei libri che – sono sicura – resterà anche negli anni a venire.
Il secondo titolo che vi vorrei consigliare è “L'emozione e la regola” di Domenico De Masi, il libro che ha ispirato “Noi siamo tempesta”. È un saggio che raccoglie l’esperienza di dieci gruppi creativi tra il 1848 e il 1948, a dimostrazione della teoria che il gruppo funziona meglio del singolo genio.
Il terzo è “Il nido” di Kenneth Oppel, un libro “per ragazzi”, anche se non amo molto questa definizione. È una delle cose più sconvolgenti, commoventi e difficili che mi è capitato di leggere anche da adulta e allo stesso tempo uno dei testi più delicati per parlare di disabilità.
Michela Murgia nel 2006 ha pubblicato con Isbn Il mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro che ha ispirato il film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti. Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell'isola che non si vede, nel 2009 il romanzo Accabadora con cui ha vinto l'edizione 2010 del Premio Campiello, nel 2011 Ave Mary (ripubblicato nei Super ET nel 2012), nel 2012 Presente (con Andrea Bajani, Paolo Nori e Giorgio Vasta) e nel 2012 il racconto L'incontro. È fra gli autori dell'antologia benefica Sei per la Sardegna (Einaudi 2014, con Francesco Abate, Alessandro De Roma, Marcello Fois, Salvatore Mannuzzu e Paola Soriga), i cui proventi sono stati destinati alla comunità di Bitti, un paese gravemente danneggiato dall'alluvione. Nel 2018 il suo L'inferno è una buona memoria. Visioni da Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley ha inaugurato la collana PassaParola di Marsilio.