Marco Missiroli: «Fedeli o infedeli che siate, ecco perché il mio è un libro che non dà scampo»
Una corda in bilico sul vuoto. È lì che sembrano muoversi i personaggi di “Fedeltà”, il nuovo attesissimo romanzo di Marco Missiroli. Pedine in un gioco destabilizzante tra fedeltà e infedeltà. Un gioco ambiguo che scava dentro di noi, lettori, mettendo in discussione le nostre convinzioni, le nostre scelte. Lasciate ogni certezza, voi che leggete. E preparatevi ad accettare la sfida. Non ve ne pentirete.

Fedeltà
Marco Missiroli
Fe-del-tà: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Fe-del-tà. La parola più ferma. La parola più ambigua.
Già. Quante sono le fedeltà cui ci si può appellare nel misurare ciò che si è perduto e ciò che, invece, resta? Il nuovo romanzo di Marco Missiroli è uno specchio, che ci mette davanti a questa domanda e ci costringe a confrontarci con un concetto spesso frainteso. Nelle geometrie cangianti che i personaggi di “Fedeltà” vanno disegnando, nulla è quel che sembra: ma non si pensi a un narratore ansioso di confondere le acque pregustando il colpo di scena. Missiroli, piuttosto, sancisce con questo romanzo il raggiungimento di una maturità (… non sarebbe un bel titolo, “maturità”, per il tuo prossimo romanzo, Marco?) che è quella del narratore autentico: registrando come un sismografo i moti interiori dei suoi personaggi e restituendoceli attraverso una prosa cristallina e sfaccettata, li rende vivi e credibili, così che ogni consapevolezza è raggiunta assieme a noi. E, pagina dopo pagina, Carlo, Margherita, Sofia e Andrea – più un quinto personaggio, che è forse il vero protagonista – crescono in noi man a mano che da noi si congedano, accompagnandoci verso un finale fra i più belli di quelli che abbiamo letto negli ultimi tempi. Chapeau, Marco Missiroli: scrittore vero, fedele al potere della parola.
Raccontaci qualcosa del tuo ultimo romanzo, Marco. Che storia è quella di “Fedeltà”?
“Fedeltà” è la storia di una domanda: quanto siamo fedeli a noi stessi? Ovvero: quanto siamo fedeli agli altri (e quindi infedeli a noi stessi)? Una questione che molto spesso non viene neanche proposta alla società, alla nostra intimità, ai nostri sentimenti. Il libro parte da questa domanda per arrivare a interrogarsi sul coraggio di essere devoti a quello che sentiamo dentro e a quello che vorremmo sentire per tutta la vita, o almeno per un bel pezzo.
In "Fedeltà" indago su cinque personaggi: lui, lei, l’altro, l’altra... più un personaggio molto più grande – cioè la suocera di uno di loro – che, sotto sotto, comanda il gioco delle fedeltà, delle infedeltà e dei sentimenti. Un gioco in cui è impossibile capire cosa succederà, chi è esposto all’infrazione e, soprattutto, se si riuscirà a trovare se stessi.
Lui, lei e gli altri sono i vertici di un quadrilatero imperfetto e disegnano geometrie instabili e in movimento. Ci presenti i protagonisti di "Fedeltà"?
I protagonisti di “Fedeltà” sono una coppia: Carlo e Margherita. Carlo è un professore, o meglio, un redattore in una rivista di turismo. Ha il lavoro di professore solo perché è stato raccomandato dal padre... Viene da una famiglia borghese, ma non ha mai accettato questo compromesso dentro di sé. È infatuato di Sofia, una sua studentessa ventiduenne che viene da Rimini. Leggendo sembra che tra loro due ci sia qualcosa, ma il mistero non viene svelato fino a metà del romanzo.
Dall’altra parte c’è Margherita, un’architetto che non è riuscita a fare il suo mestiere e che fa l’agente immobiliare, ma con grande passione. Anche lei si è innamorata: ha un’infatuazione per il suo fisioterapista ventiseienne Andrea, che la tocca in una maniera ambigua durante le sedute.
Infine c’è Anna, la suocera di Carlo, un personaggio che “lavora” sulla figlia, ma soprattutto sul genero, segnando una sottotraccia che muove tutti i fili del romanzo. Un romanzo che, in ogni caso, parla di un matrimonio felice, ma con degli spiragli laterali, ai quali bisogna capire come resistere o cedere.
Mi sono messo a immaginare un narratore che permettesse al lettore di essere esattamente al corrente della fedeltà apparente dei suoi personaggi e dell’infedeltà che può presentarsi all’improvviso.
Leggendo “Fedeltà” sembra che lo sguardo del narratore transiti da un personaggio all’altro. Puoi parlarci della tecnica che hai utilizzato?
Il romanzo è stato scritto con la tecnica del passaggio di anime, nella quale la telecamera della narrazione si sposta da un personaggio all’altro al momento del loro incontro, permettendo al lettore di conoscere gli stati d’animo di tutti quanti.
Si tratta di una tecnica mai utilizzata in Italia e che mi è venuta in mente un giorno mentre ero in un bar. Accanto c’era un tavolo con tre donne che parlavano tra loro con grande amabilità. Io stavo leggendo, ho chiuso il libro e le ho ascoltate per un po’, colpito dalla loro complicità. Dopo che hanno finito di consumare il loro caffè, però, una di loro è andata via e da quel momento le altre due hanno cominciato a sparlare pesantemente di lei. È a quel punto che mi sono messo a immaginare un narratore che potesse permettere al lettore di essere esattamente al corrente della fedeltà apparente dei suoi personaggi e dell’infedeltà che può presentarsi all’improvviso.
Milano è più che un semplice set delle vicende e dei desideri che racconti. Possiamo dire che con questo romanzo te ne sei definitivamente appropriato, e in qualche modo le stai giurando fedeltà?
Milano è la grande protagonista finale di questo romanzo. L’avevo già tirata fuori in "Atti osceni in luogo privato", ma qui l’ho fatta esplodere. E per esplodere intendo che in “Atti osceni in luogo privato” era una città che formava il protagonista, in “Fedeltà” è una città che consacra i protagonisti. Perché Milano è una città discreta che permette di nascondersi quando si ha un problema. È una città che accompagna, sorprende e che smuove sempre. Una città a volte ingrata. Una città che sa in qualche modo essere fedele, perché regala sempre qualcosa, ma che solletica il senso di fedeltà che si ha.
Per approfondire |

Atti osceni in luogo privato
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Il senso dell'elefante
Marco Missiroli

Senza coda
Marco Missiroli

Bianco
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Il buio addosso
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Il titolo è una parola che risuona in tutta la sua terribile ambiguità. Si parla di fedeltà, ma di quante fedeltà e quali infedeltà? E come, a tuo avviso, la veste editoriale del libro amplifica questa suggestione?
Leggendo il titolo prima di tutto c’è da chiedersi – e me lo chiedo anch’io – se sia al singolare o al plurale, perché si parla di tante fedeltà in questo libro. È la copertina stessa – che amo moltissimo – a innescare una storia: cosa vuol dire affiancare la parola “fedeltà” all’immagine di una ragazza dallo sguardo ambiguo? Che “Fedeltà” è un libro basato sulle contraddizioni e sui moti viscerali che ognuno di noi prova. È un libro che non dà scampo: non c’è niente che sia o bianco o nero. Tutto è in una scala di grigi.
Viviamo immersi in mille narrazioni frammentate e la parola “storie” si è diluita nel concetto di "storytelling". Ma qual è davvero il ruolo di uno scrittore nella società contemporanea?
Lo scrittore ha un ruolo fondamentale al giorno d’oggi, anche se non deve per forza avere una presenza civica dimostrabile e urlata. Nei suoi libri può anche non riferirsi direttamente alla società attuale, parlandone invece attraverso i sentimenti dei suoi protagonisti. È un’operazione molto più sotterranea.
Personalmente mi sento uno scrittore soprattutto perché lavoro tantissimo sulla pagina. “Fedeltà” ha richiesto quattro anni di lavoro quotidiano e ho aspettato tanto a farlo uscire perché credo di aver ormai sviluppato la capacità di capire quando un libro è veramente pronto oppure quando cerco di farlo uscire in fretta. La pubblicazione è un canto della sirena per ogni scrittore, ma io cerco di resistere.
Lo scrittore ha un ruolo fondamentale al giorno d’oggi, anche se non deve per forza avere una presenza civica dimostrabile e urlata.
Ci dicevi che questo libro ti ha richiesto quattro anni di lavoro. Quali sono le tue abitudini quando scrivi?
Solitamente ho un processo creativo abbastanza rigido. Dal momento in cui ho un’idea resisto otto-dieci mesi: se l’idea rimane dentro di me, la porto avanti. Ma quando inizio a scrivere non lo dico a nessuno e mi invento degli spazi segreti per dedicarmi alla scrittura.
Di solito scrivo la mattina presto e credo ciò derivi dal fatto di aver lavorato in edicola per dieci anni a Rimini.
Lavoro quattro o cinque ore e solitamente il weekend raddoppio. Poco ogni giorno: seguo il metodo della formica.
La prima stesura, però, è solo l’antipasto di quello che accadrà: nella fase di riscrittura e editing lavoro sulla lingua e sui personaggi almeno altri due o tre anni. E sputo veramente sangue.
Poi, per quattro volte di fila, leggo tutto il libro a voce alta stando in piedi e con il manoscritto appoggiato sul frigorifero, perché leggere ad alta voce mi permette di sentire cosa c’è che non va nella musica.
Segue una fase di lavoro con i miei editor, in questo caso Angela Rastelli di Einaudi e Paola Gallo, e poi il libro è pronto. Dopo alcune riletture silenziose lo consegno stremato.
E finalmente svengo.
Prima di arrivare a scrivere bene, bisogna imparare a leggere bene. Le tue letture, a dire il vero, emergono anche nel corso del romanzo. Ma qual è il libro ti ha ispirato di più?
“Fedeltà” ha assorbito principalmente due libri. Uno è “Il commesso” di Bernard Malamud, che mi ha insegnato a narrare per scene figlie, non per scene madri. L’altro è “Le correzioni” di Jonathan Franzen, uno di quei libri che è impossibile imitare senza naufragare immediatamente, ma da cui è possibile imparare come muovere i personaggi e capire come creare un narratore che osserva quel che la vita fa, non che la comanda.
I libri possono anche essere un sostegno nei momenti difficili. Ricordi un libro che ti ha aiutato ad affrontare o superare una fase complicata della tua vita?
Il libro che più mi ha aiutato in una fase complicata della mia vita è “Il vecchio e il mare” di Hemingway.
Mi sorprende che ci sia ancora qualcuno che si chiede perché questo romanzo sia così famoso… È perché si tratta di un vero e proprio Zeitgeist! Hemingway è riuscito a metterci dentro tutta la sua vita e tutta la vita dell’umanità. È incredibile! Ha la mia invidia profonda.
Marco Missiroli (Rimini 1981) vive e lavora a Milano. Con il suo primo romanzo, Senza coda (Fanucci,2005), ha vinto il Premio Campiello Opera Prima. Guanda ha pubblicato i romanzi Il buio addosso (2007), Bianco (2009) e Il senso dell'elefante (2012; premio Selezione Campiello 2012, premio Vigevano e premio Bergamo). Per Feltrineli ha pubblicato Atti osceni in luogo privato (2015; Premio Mondello 2015). Scrive per il «Corriere della Sera».